giovedì 6 giugno 2013

Seconda Attività di gruppo sull’Inclusione Sociale



Seconda Attività di gruppo sull’Inclusione Sociale



La seconda attività di gruppo sull'Inclusione Sociale è iniziata dopo la restituzione di Fabiana rispetto al Laboratorio ESPLORATORI SOCIALI. A seguito della restituzione il gruppo ha dialogato e riflettuto insieme sul tema dell'Inclusione assieme agli utenti con disagio psichico dell'Associazione Porte Aperte e ai volontari. Infine, c'è stato un momento esperienziale in cui ciascuno ha scelto una parola ed un colore per rappresentare l’Inclusione Sociale. Subito dopo è stata messa in scena, attraverso la rappresentazione di un monumento umano, la parola diversità.



La discussione

Dopo le parole di Fabiana, che hanno stimolato la riflessione sui temi dell’esclusione, qualcuno ha sottolineato che andavano approfonditi anche gli aspetti un po’ più negativi dello stare nella società. A tal proposito il concetto di esclusione è stato contestualizzato dal gruppo in situazioni reali derivanti dalle rispettive esperienze di vita percepite come non accoglienti, portando gli esempi del gruppo o dell’amicizia.

I ragazzi hanno avuto a disposizione uno spazio per riflettere e per guardarsi dentro oltre che per riconoscere quando hanno provato, nella loro vita, la sensazione di sentirsi esclusi.

Giusy è intervenuta subito chiedendo “Che significa esclusione?” e subito dopo ha aggiunto che ha provato la sensazione di esclusione nell’amicizia”.

Robertina ha raccontato di essersi sentita al di fuori del gruppo classe, al terzo anno di scuola. Ha detto che non era una classe molto bella, che non si sentiva “calcolata” dai compagni e che stava sempre solo con due compagni.

Roberta ha commentato che in questo caso l’esclusione era reciproca.

Giusy ha preso di nuovo la parola dicendo che durante la permanenza nella comunità di Geraci a volte ha avuto la percezione di sentirsi a esclusa, altre volte no.

Roberta l’ha invitata a raccontare della sua esperienza nella comunità terapeutica.

Giusy, dopo aver parlato di un utente della comunità, ha detto che si era trovata bene, che durante le uscite andavano a prendere il gelato e a mangiare la pizza.

Roberta allora le ha chiesto: “L’anno scorso sei tornata a casa. Che differenza c’è stata rispetto alla Comunità Terapeutica Assistita”?

Giusy ha riposto: “[…]Qualche cosa la faccio a casa. […]Lì c’erano punizioni. Invece qui mi trovo bene, c’è l’amicizia e mi trovo bene con tutti i miei familiari”.


Poi è intervenuto Marco F., aiutato da Katia, ha detto: “Durante la frequenza nell’altro centro aggregativo mi sono trovato male mi arrabbiavo spesso”. Il gruppo lo aveva fatto sentire “uno schifo”, non gli piaceva, mentre adesso all'Associazione Porte Aperte, sta meglio. Ed ha aggiunto: “Ho avuto il terrore di quel centro”.

Roberta ha commentato: “Non ti sei sentito accettato”.

A seguito di un momento di confusione Marco ha identificato in Davide un ragazzo che gli aveva “fregato la sua pizzetta”, Roberta ha spiegato che “la confusione ci può portare a percezioni sbagliate”.

Davide, tirato in gioco, ha detto che avrebbe speso poche parole.

“Il fuori ha distrutto il mio essere”, ha detto. “Persone false, problemi, amicizie brutte[…] ho passato l’inferno”.

Roberta gli ha rimandato di guardare oltre per superare i problemi, e lui ha risposto “Ci facciamo il brodo con le solite parole”.

E Roberta allora: “Anche il brodo fa sostanza, anche la sofferenza fa sostanza”.

Successivamente Roberta ha parlato del fatto che Davide si è inserito all'Associazione Porte Aperte dopo un periodo bruttissimo, ma ha subito trovato un suo posto. E ha aggiunto: “Ognuno qui ha un ruolo, è importante per il gruppo”. Ma ha sottolineato anche l’importanza di trovare un posto nella società.

E Davide ha detto: “Quando ti accetta” e Roberta: “perché non ci accetta?”

Davide ha risposto: “Alla società non interessa di te. E’ composta da un gruppo di persone che si conoscono già”.

Katia poi ha detto: “Il diverso a volte non è accettato per paura, non ci si prende la responsabilità…”

Roberta ha aggiunto: “La società ha paura di quello che porti”.

In seguito ha preso la parola Mario che inizialmente ha osservato come la parola società sia molto generica, “E’ fatta di tante cose… e ogni comunità ha bisogno che ogni individuo dia un contributo alla causa comune. Se tu non hai quello che ti chiedono… devi avere dei requisiti… allora autonomamente ti escludono”.

Poi ha parlato della sua utopia in cui ogni persona abbia una condizione economica “decente”, pur rendendosi conto che le cose non funzionano in questo modo.

Infine si è concentrato su due motivi di disagio e di esclusione nella sua storia personale, affermando: “Il fatto che non ho una religione per molti può essere un problema. Oppure il fatto di essere gay”.

Elena poi ha letto quello che aveva scritto durante la discussione. Ha detto: “Da quando faccio il volontariato ora non mi sento più messa da parte”.



L’esperienza


A seguito della discussione ogni partecipante del gruppo ha scelto una parola ed un colore per esprimere quello che ci si è portati dalle due giornate sull’inclusione sociale e ha scritto la sua parola in un cartellone chiamato “Inclusions”.

Ecco le parole di ognuno:

  • Roberta in viola DIVERSITA’;
  • Giusy in rosa FELICE;
  • Marco, aiutato da Katia, in rosa CONTENTEZZA;
  • Giovanna in rosso GIOIA;
  • Roberto in blu LIBERTA’;
  • Davide in verde GIOIA;
  • Fabiana in arancione CALORE;
  • Rita in rosso AMORE;
  • Mario in verde INCONTRO;
  • Elena in arancione ACCETTATA;
  • Andrea in viola AMORE;
  • Robertina in blu ARMONIA J;
  • Simona in lilla ENERGIA;
  • Katia in azzurro ESSENZA.

Successivamente Roberta ha chiesto ad ognuno di trovare un modo di rappresentare attraverso un monumento la propria parola.

Si è partiti dalla figura di Roberta, e poi a poco a poco ciascuno si è andato inserendo.

Nel monumento finale l’interno era molto pieno, il contatto fisico era molto ravvicinato: le mani, le braccia di tutti erano molto intrecciate. Dall’interno non si vedeva dove continuavano le braccia che si tendevano dal lato opposto. I tocchi degli altri erano affettuosi, calorosi.

Qualcuno però era rimasto più all’estremità. Io ad esempio tendevo il braccio verso Andrea che era un po’ più distante.

La scena si è conclusa dopo una fotografia finale del gruppo monumento e la comparsa di una farfallina che ha incuriosito ed entusiasmato molti e infastidito alcuni.



Riflessioni


Il tema dell’esclusione sociale, come già era emerso nell’attività precedente, è strettamente legato a quello dell’inclusione, e come è stato detto, rappresenta la parte più difficile dello stare in una società, in una comunità, in un gruppo.

Durante l’incontro è stato possibile osservare vari modi in cui questa esclusione può esprimersi. Anche qui in continuità con l’attività precedente l’esclusione può essere reciproca, quando ci si tira fuori dal gruppo comune perché a propria volta ci si è sentiti esclusi da esso, come nell’esperienza riportata da Robertina.

Vi è poi un’esclusione per la diversità o per il fatto di non rispettare le regole. Questo ogni tanto capitava a Marco Ferrara, il quale diventava oggetto di scherno o di rimprovero da parte degli altri.

L’episodio della pizzetta, in modo particolare, ha mostrato come sia difficile comprendersi quando si hanno percezioni differenti delle cose. Ma anche come questa percezione differente delle cose, soprattutto quando c’è un gruppo più ampio che sostiene l’opposto, tenda ad isolare l’altro, cosa che è emersa pure nell’esperienza della nota dissonante. Inoltre accade che il gruppo cerchi di fare rientrare la persona isolata entro i codici comuni.

Marco infatti più volte ha manifestato la sua difficoltà di stare dentro il gruppo, dentro i codici condivisi, dentro le regole. In suo supporto oltre a Roberta è intervenuta Katia, come interprete che gli ha permesso di comunicare al gruppo.

Inoltre il tema dell’esclusione è stato esplorato attraverso l’esperienza personale di ciascuno: ci si è chiesto cosa si prova a sentirsi esclusi. Marco Ferrara ha portato il suo terrore e la sua rabbia, Davide il suo inferno, la sua sofferenza, Mario la condivisione del suo disagio e la sua utopia, Elena la sua alternativa.

E’ emerso anche che sentirsi esclusi ha a che fare con il non sentirsi accettati dagli altri e di come questa non accettazione possa derivare dalla paura della diversità.

Rispetto al momento esperienziale, nel monumento, dal singolo si è passati al gruppo. Ognuno, con la sua unicità e la sua rappresentazione, si è unito all’altro, ricollegandosi alla rappresentazione portata dal Roberta. Roberta è stata la guida del gruppo. Ha posto le basi per la messa in scena nella parte esperienziale e nella discussione ha creato una linea comune, attraverso la quale era possibile comprendersi e comunicare meglio. E’ stata l’interlocutrice di ciascuno, il riferimentodi tutti.

Nel monumento non tutti occupavano il nucleo. Alcuni erano all’estremità.

Ma anche in questo caso vi sono stati tanti modi di occupare l’estremità, come nel caso di Andrea. Lui era più distante degli altri ma il contatto con lui non era interrotto.

L’estremità ha anche una funzione. Attorno al nucleo ci sono i guardiani, proteggono l’interno e hanno un contatto con l’esterno.

Questo perché, come è anche emerso nella discussione, nel gruppo, come nel tessuto sociale, ognuno ha il suo ruolo.

Alla fine il monumento è stato immortalato da una fotografia, che però non ha incluso tutti i componenti del gruppo. Infatti Mario, rendendosi conto di non comparire nella foto, lo ha fatto presente e così la foto è stata rifatta comprendendo anche lui.

Questo piccolo episodio può essere emblematico di come l’esclusione non sia sempre una condizione immodificabile, e se viene ricercato il dialogo o in generale viene fatta sentire la propria voce, questa può essere ascoltata e le cose così possono cambiare.

La comparsa della farfallina scura alla fine dell’esperienza comune mi piace leggerla per questo come simbolo delle trasformazioni e della generatività del gruppo.

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