Seconda Attività di gruppo sull’Inclusione Sociale
La seconda attività di gruppo sull'Inclusione Sociale è iniziata dopo la restituzione di Fabiana rispetto al Laboratorio ESPLORATORI SOCIALI. A seguito della restituzione il gruppo
ha dialogato e riflettuto insieme sul tema dell'Inclusione assieme agli utenti con disagio psichico dell'Associazione Porte Aperte e ai volontari. Infine, c'è stato un momento esperienziale
in cui ciascuno ha scelto una parola ed un colore per rappresentare l’Inclusione Sociale. Subito dopo è stata messa in scena, attraverso la rappresentazione di un monumento
umano, la parola diversità.
La discussione
Dopo le parole di Fabiana,
che hanno stimolato la riflessione sui temi dell’esclusione, qualcuno ha sottolineato che
andavano approfonditi anche gli aspetti un po’ più negativi dello stare nella
società. A tal proposito il concetto di esclusione è stato contestualizzato dal gruppo in situazioni reali derivanti dalle rispettive esperienze di vita percepite come non accoglienti, portando gli esempi del
gruppo o dell’amicizia.
I ragazzi hanno avuto a disposizione uno spazio per riflettere e per
guardarsi dentro oltre che per riconoscere quando hanno provato, nella loro vita, la sensazione di
sentirsi esclusi.
Giusy è intervenuta subito chiedendo
“Che significa esclusione?” e subito dopo ha aggiunto che ha provato la sensazione di esclusione nell’amicizia”.
Robertina ha raccontato di essersi
sentita al di fuori del gruppo classe, al terzo anno di
scuola. Ha detto che non era una classe molto bella, che non si sentiva
“calcolata” dai compagni e che stava sempre solo con due compagni.
Roberta ha commentato che in
questo caso l’esclusione era reciproca.
Giusy ha preso di nuovo la parola
dicendo che durante la permanenza nella comunità di Geraci a volte ha avuto la percezione di sentirsi a esclusa, altre volte no.
Roberta l’ha invitata a
raccontare della sua esperienza nella comunità terapeutica.
Giusy, dopo aver parlato di un
utente della comunità, ha detto che si era trovata bene, che durante le uscite
andavano a prendere il gelato e a mangiare la pizza.
Roberta allora le ha chiesto:
“L’anno scorso sei tornata a casa. Che differenza c’è stata rispetto alla Comunità Terapeutica Assistita”?
Giusy ha riposto: “[…]Qualche
cosa la faccio a casa. […]Lì c’erano punizioni. Invece qui mi trovo bene, c’è
l’amicizia e mi trovo bene con tutti i miei familiari”.
Poi è intervenuto Marco F.,
aiutato da Katia, ha detto: “Durante la frequenza nell’altro centro aggregativo mi sono trovato male mi arrabbiavo spesso”. Il gruppo lo aveva
fatto sentire “uno schifo”, non gli piaceva, mentre adesso all'Associazione Porte Aperte,
sta meglio. Ed ha aggiunto: “Ho avuto il terrore di quel centro”.
Roberta ha commentato: “Non ti
sei sentito accettato”.
A seguito di un momento di
confusione Marco ha identificato in Davide un ragazzo che gli aveva
“fregato la sua pizzetta”, Roberta ha spiegato che “la confusione ci può
portare a percezioni sbagliate”.
Davide, tirato in gioco, ha detto
che avrebbe speso poche parole.
“Il fuori ha distrutto il mio
essere”, ha detto. “Persone false, problemi, amicizie brutte[…] ho passato
l’inferno”.
Roberta gli ha rimandato di
guardare oltre per superare i problemi, e lui ha risposto “Ci facciamo il
brodo con le solite parole”.
E Roberta allora: “Anche il brodo
fa sostanza, anche la sofferenza fa sostanza”.
Successivamente Roberta ha
parlato del fatto che Davide si è inserito all'Associazione Porte Aperte dopo un periodo bruttissimo, ma ha subito trovato un suo
posto. E ha aggiunto: “Ognuno qui ha un ruolo, è importante per il gruppo”. Ma ha
sottolineato anche l’importanza di trovare un posto nella società.
E Davide ha detto: “Quando ti
accetta” e Roberta: “perché non ci accetta?”
Davide ha risposto: “Alla società
non interessa di te. E’ composta da un gruppo di persone che si conoscono già”.
Katia poi ha detto: “Il diverso a
volte non è accettato per paura, non ci si prende la responsabilità…”
Roberta ha aggiunto: “La società
ha paura di quello che porti”.
In seguito ha preso la parola
Mario che inizialmente ha osservato come la parola società sia molto generica,
“E’ fatta di tante cose… e ogni comunità ha bisogno che ogni individuo dia un
contributo alla causa comune. Se tu non hai quello che ti chiedono… devi avere
dei requisiti… allora autonomamente ti escludono”.
Poi ha parlato della sua utopia
in cui ogni persona abbia una condizione economica “decente”, pur rendendosi
conto che le cose non funzionano in questo modo.
Infine si è concentrato su due
motivi di disagio e di esclusione nella sua storia personale, affermando: “Il
fatto che non ho una religione per molti può essere un problema. Oppure il
fatto di essere gay”.
Elena poi ha letto quello che
aveva scritto durante la discussione. Ha detto: “Da quando faccio il
volontariato ora non mi sento più messa da parte”.
L’esperienza
A seguito della discussione ogni
partecipante del gruppo ha scelto una parola ed un colore per esprimere quello
che ci si è portati dalle due giornate sull’inclusione sociale e ha scritto la
sua parola in un cartellone chiamato “Inclusions”.
Ecco le parole di ognuno:
- Roberta in viola DIVERSITA’;
- Giusy in rosa FELICE;
- Marco, aiutato da Katia, in rosa CONTENTEZZA;
- Giovanna in rosso GIOIA;
- Roberto in blu LIBERTA’;
- Davide in verde GIOIA;
- Fabiana in arancione CALORE;
- Rita in rosso AMORE;
- Mario in verde INCONTRO;
- Elena in arancione ACCETTATA;
- Andrea in viola AMORE;
- Robertina in blu ARMONIA J;
- Simona in lilla ENERGIA;
- Katia in azzurro ESSENZA.
Successivamente Roberta ha
chiesto ad ognuno di trovare un modo di rappresentare attraverso un monumento
la propria parola.
Si è partiti dalla figura di
Roberta, e poi a poco a poco ciascuno si è andato inserendo.
Nel monumento finale l’interno
era molto pieno, il contatto fisico era molto ravvicinato: le mani, le braccia
di tutti erano molto intrecciate. Dall’interno non si vedeva dove continuavano le
braccia che si tendevano dal lato opposto. I tocchi degli altri erano
affettuosi, calorosi.
Qualcuno però era rimasto più
all’estremità. Io ad esempio tendevo il braccio verso Andrea che era un po’ più
distante.
La scena si è conclusa dopo una
fotografia finale del gruppo monumento e la comparsa di una farfallina che ha
incuriosito ed entusiasmato molti e infastidito alcuni.
Riflessioni
Il tema dell’esclusione sociale,
come già era emerso nell’attività precedente, è strettamente legato a quello
dell’inclusione, e come è stato detto, rappresenta la parte più difficile
dello stare in una società, in una comunità, in un gruppo.
Durante l’incontro è stato
possibile osservare vari modi in cui questa esclusione può esprimersi. Anche
qui in continuità con l’attività precedente l’esclusione può essere reciproca,
quando ci si tira fuori dal gruppo comune perché a propria volta ci si è
sentiti esclusi da esso, come nell’esperienza riportata da Robertina.
Vi è poi un’esclusione per la
diversità o per il fatto di non rispettare le regole. Questo ogni tanto
capitava a Marco Ferrara, il quale diventava oggetto di scherno o di rimprovero
da parte degli altri.
L’episodio della pizzetta, in
modo particolare, ha mostrato come sia difficile comprendersi quando si hanno
percezioni differenti delle cose. Ma anche come questa percezione differente
delle cose, soprattutto quando c’è un gruppo più ampio che sostiene l’opposto, tenda
ad isolare l’altro, cosa che è emersa pure nell’esperienza della nota
dissonante. Inoltre accade che il gruppo cerchi di fare rientrare la persona
isolata entro i codici comuni.
Marco infatti più volte ha
manifestato la sua difficoltà di stare dentro il gruppo, dentro i codici
condivisi, dentro le regole. In suo
supporto oltre a Roberta è intervenuta Katia, come interprete che gli ha
permesso di comunicare al gruppo.
Inoltre il tema dell’esclusione è
stato esplorato attraverso l’esperienza personale di ciascuno: ci si è chiesto cosa
si prova a sentirsi esclusi. Marco Ferrara ha portato il suo terrore e la sua
rabbia, Davide il suo inferno, la sua sofferenza, Mario la condivisione del suo
disagio e la sua utopia, Elena la sua alternativa.
E’ emerso anche che sentirsi
esclusi ha a che fare con il non sentirsi accettati dagli altri e di come
questa non accettazione possa derivare dalla paura della diversità.
Rispetto al momento esperienziale,
nel monumento, dal singolo si è passati al gruppo. Ognuno, con la sua unicità e
la sua rappresentazione, si è unito all’altro, ricollegandosi alla
rappresentazione portata dal Roberta. Roberta è stata la guida del gruppo. Ha
posto le basi per la messa in scena nella parte esperienziale e nella
discussione ha creato una linea comune, attraverso la quale era possibile
comprendersi e comunicare meglio. E’ stata l’interlocutrice di ciascuno, il
riferimentodi tutti.
Nel monumento non tutti
occupavano il nucleo. Alcuni erano all’estremità.
Ma anche in questo caso vi sono stati
tanti modi di occupare l’estremità, come nel caso di Andrea. Lui era più
distante degli altri ma il contatto con lui non era interrotto.
L’estremità ha anche una funzione.
Attorno al nucleo ci sono i guardiani, proteggono l’interno e hanno un contatto
con l’esterno.
Questo perché, come è anche
emerso nella discussione, nel gruppo, come nel tessuto sociale, ognuno ha il
suo ruolo.
Alla fine il monumento è stato
immortalato da una fotografia, che però non ha incluso tutti i componenti del
gruppo. Infatti Mario, rendendosi conto di non comparire nella foto, lo ha
fatto presente e così la foto è stata rifatta comprendendo anche lui.
Questo piccolo episodio può
essere emblematico di come l’esclusione non sia sempre una condizione
immodificabile, e se viene ricercato il dialogo o in generale viene fatta
sentire la propria voce, questa può essere ascoltata e le cose così possono
cambiare.
La comparsa della farfallina
scura alla fine dell’esperienza comune mi piace leggerla per questo come
simbolo delle trasformazioni e della generatività del gruppo.
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